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Lo sport, di norma, si racconta attraverso le sfide dei protagonisti e delle loro imprese. In questo volume di Mario Bianchini, invece, lo sport si racconta attraverso i luoghi. Anzi un luogo in particolare: lo Stadio dei Cipressi. Il nome, per chi è nato dopo la guerra non significa quasi nulla. Che c'entrano i cipressi? C'entrano, c'entrano. Perché lo stadio di cui parliamo è il padre o forse il nonno dello Stadio Olimpico di Roma. Per chi in questa città ci è nato, questo libro è un tuffo all'indietro verso fatti e storie, partite e odori, colori e grida che non può non aver conosciuto. Ma la lettura che Mario Bianchini ci offre è un impasto strano di ricordi personali e di storia, di ricostruzioni puntuali e di curiosità. E come si fa a non guardare con ammirazione alla grande idea di Del Debbio, l'architetto che per primo pensò a quest'area di città come a un grande parco dello sport, con gli stadi e le piscine, i campi del tennis e la casa delle Armi nelle quali si esercitarono alcuni tra i migliori architetti dell'epoca, divisi dall'eclettismo pomposo e il grande razionalismo. Il libro di Mario Bianchini è una ironica cavalcata tra i ricordi con una spruzzata di storia. Ci è facile riconoscere quel balilla portato il sabato a marciare e gridare stentorei alalà in quello stadio dei cipressi con la grande pista di atletica e le basse tribune di marmo bianco.